L’Italia ha gli anticorpi per combattere le discriminazioni
Imbecilli, idioti e ritardati: così il governo del presidente argentino Javier Milei parlerà delle persone con disabilità nei documenti ufficiali e nelle pratiche che li riguardano. Una riflessione sulla situazioni italiana: «Grazie alla Costituzione, alla ratifica della Convenzione Onu e al lavoro decennale del movimento associativo, qui abbiamo gli anticorpi per reagire alle discriminazioni» Le recenti dichiarazioni del governo argentino guidato da Javier Milei, che nei documenti ufficiali, nelle pratiche che li riguardano e nelle classificazioni andrà a definire le persone con disabilità come “idioti”, “imbecilli” e “ritardati”, hanno suscitato indignazione a livello internazionale. Tali insulti non solo sono gravemente offensivi, ma rivelano anche una visione retrograda e discriminatoria nei confronti di una parte vulnerabile della popolazione, che meriterebbe invece sostegno, rispetto e piena inclusione. Le parole del governo argentino non rappresentano un semplice errore linguistico, ma sono il riflesso di un atteggiamento politico che potrebbe minare i progressi fatti nel garantire i diritti delle persone con disabilità e nel favorire la loro integrazione sociale. A livello internazionale, queste dichiarazioni contrastano fortemente con i principi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (Crpd), un trattato che impegna gli Stati firmatari a garantire l’uguaglianza, il rispetto e la dignità di tutte le persone con disabilità. La Convenzione, adottata nel 2006, stabilisce che le persone con disabilità debbano godere dei diritti umani e delle libertà fondamentali in condizioni di parità con gli altri. In particolare, l’articolo 1 sottolinea che l’obiettivo è «promuovere, proteggere e assicurare il godimento di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità», mentre l’articolo 8 evidenzia l’importanza di combattere gli stereotipi e le discriminazioni basate sulla disabilità. Le dichiarazioni di Milei non solo violano questi principi, ma rischiano di rafforzare pregiudizi e discriminazioni radicate nella società, ostacolando l’inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita. In Argentina, e non solo, queste affermazioni hanno sollevato giustamente preoccupazioni circa le politiche pubbliche riguardanti i diritti delle persone con disabilità. Il linguaggio denigratorio utilizzato dai rappresentanti del governo potrebbe aprire la strada a politiche che non solo non favoriscono l’inclusione sociale, ma potrebbero anche aggravare la marginalizzazione di queste persone. Le organizzazioni che operano nel campo dei diritti delle persone con disabilità temono che la retorica politica di Milei possa avere ripercussioni pratiche, riducendo l’accesso a servizi essenziali come l’istruzione, la sanità e l’integrazione lavorativa. Le parole di Milei potrebbero avere effetti in Italia? Le dichiarazioni di Milei non avranno un impatto diretto nel nostro Paese. Questo non solo per la solida cultura italiana di inclusività, ma anche grazie all’impegno formale assunto dal nostro paese con la ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. L’Italia ha firmato e ratificato il trattato nel 2009, impegnandosi a garantire i diritti delle persone con disabilità e a promuovere politiche che ne favoriscano l’integrazione. Il nostro ordinamento giuridico tutela i diritti delle persone con disabilità, in particolare attraverso l’articolo 3 della Costituzione Italiana, che sancisce il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini, senza distinzione di condizione fisica o mentale. La Costituzione afferma che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini» (art. 3, comma 2), principio che include le persone con disabilità, garantendo loro pari opportunità sociali, economiche e politiche. L’Italia, da anni, ha adottato leggi e politiche che favoriscono l’inclusione delle persone con disabilità, come la legge 104 del 1992, che promuove la loro partecipazione attiva nella società. Questa legge prevede misure volte a garantire l’accessibilità, l’integrazione scolastica, l’inclusione nel mondo del lavoro e il miglioramento della qualità della vita, in linea con i principi della Convenzione Onu. Il ruolo del movimento associativo Un elemento fondamentale di questo progresso è rappresentato dal lavoro instancabile del movimento associativo italiano. Le numerose associazioni che operano in questo settore, molte delle quali radicate nella storia sociale e culturale del nostro Paese, svolgono un ruolo cruciale nel costruire una cultura di uguaglianza e inclusione. Queste organizzazioni, che coinvolgono milioni di persone, famiglie e professionisti, sono protagoniste non solo nell’assicurare l’accesso a servizi e opportunità, ma anche nel promuovere una visione della società che valorizza e rispetta le differenze. Il movimento associativo italiano è sempre in prima linea nel sensibilizzare l’opinione pubblica e nel fare pressione sulle istituzioni affinché vengano adottate politiche rispondenti alle reali esigenze delle persone con disabilità. Le campagne di sensibilizzazione, le attività educative nelle scuole, i progetti di inclusione sociale e le iniziative legali a tutela dei diritti sono solo alcune delle azioni che combattono quotidianamente la discriminazione. Questo impegno continuo ha contribuito a mantenere alta l’attenzione sulle tematiche della disabilità, stimolando un dibattito pubblico che ha portato a un ripensamento delle politiche sociali e alla diffusione di una cultura che riconosce le persone con disabilità come parte integrante della comunità. In tal modo, l’Italia ha consolidato una visione più inclusiva e giusta, dove i diritti delle persone con disabilità sono considerati essenziali per la giustizia sociale. Anche di fronte a episodi come le dichiarazioni di Milei, il movimento associativo italiano continua a rappresentare una forza determinante per garantire che ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione, possa vivere una vita piena e dignitosa. Anche di fronte a episodi come le dichiarazioni di Milei, il movimento associativo italiano continua a rappresentare una forza determinante per garantire che ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione, possa vivere una vita piena e dignitosa La solidità culturale dell’Italia in tema di disabilità si fonda su un impegno profondo verso i principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà. Le politiche italiane, pur con margini di miglioramento, sono orientate a rafforzare l’inclusione sociale e l’uguaglianza delle persone con disabilità. In questo contesto, le dichiarazioni di Milei non intaccheranno la consapevolezza e l’impegno della nostra società, che continua a promuovere un modello di civiltà e giustizia sociale, dove ogni persona, indipendentemente dalle sue condizioni fisiche o mentali, ha diritto a una vita piena e dignitosa. Le provocazioni e gli anticorpi Tuttavia, è importante sottolineare che l’Italia, pur avendo compiuto significativi progressi, non è immune da situazioni simili a quelle verificatesi in Argentina.
Povertà e disabilità, si può fare (molto) di più.
Intervista al presidente di FISH, e Consigliere CNEL Vincenzo Falabella “Le persone con disabilità e le loro famiglie si impoveriscono economicamente. E l’impoverimento economico diventa quasi sempre impoverimento sociale, emarginazione, a volte segregazione.” Con queste parole, Vincenzo Falabella, presidente di FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e Consigliere CNEL, sintetizza un problema che tocca migliaia di famiglie in Italia: l’intreccio tra povertà e disabilità. “Una situazione aggravata da politiche di sostegno insufficienti e da un sistema di welfare che spesso si limita a fornire aiuti economici senza affrontare realmente le cause profonde dell’emarginazione – spiega – Il sistema di welfare italiano ha bisogno di una riforma strutturale, capace di garantire un sostegno equo e realmente inclusivo. Penalizzare economicamente chi vive già una condizione di svantaggio è una scelta miope e ingiusta. È tempo di smettere di trattare la disabilità come una categoria marginale e di riconoscere che l’inclusione non è un privilegio, ma un diritto fondamentale”. Presidente Falabella, le misure attuali riescono a ridurre la povertà tra le persone con disabilità? Assolutamente no. Le politiche messe in campo sono puramente risarcitorie: invece di valorizzare la persona, si limitano a compensare le condizioni di disagio in cui essa si trova a vivere. Questo vale per la generalità degli interventi rivolti alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Lo abbiamo visto chiaramente durante la pandemia: il sistema di welfare non ha protetto chi ne aveva più bisogno, ovvero le persone vulnerabili. Questa mancanza di protezione ha avuto conseguenze pesantissime, non solo per le persone con disabilità, ma anche per i loro familiari. Qual è la condizione dei caregiver familiari, soprattutto in relazione alla povertà? Oggi in Italia il caregiver familiare non è riconosciuto né tutelato da una normativa adeguata, se non attraverso interventi spot e frammentari. Questa assenza di tutele ha un impatto devastante: molte persone, soprattutto donne, lasciano il lavoro per dedicarsi all’assistenza, con conseguenze economiche gravissime, ma anche con un forte rischio di isolamento sociale. Servono misure strutturali e lungimiranti, che permettano ai caregiver di scegliere se dedicarsi esclusivamente all’assistenza o di inserirsi (o reinserirsi) nel mondo del lavoro. Non possiamo più accettare che questa figura venga ignorata o marginalizzata. Il problema è solo economico? Lo Stato deve investire di più? Non è solo una questione di soldi. Negli ultimi anni la spesa sociale è aumentata esponenzialmente, ma questo non ha portato a un miglioramento reale delle condizioni di vita. Il motivo? Le esigenze e i bisogni delle persone sono cresciuti, ma le risposte fornite dallo Stato sono rimaste inadeguate. Serve un cambio di prospettiva: il welfare non deve essere solo assistenziale, ma deve valorizzare la persona nella sua interezza. Questo significa creare politiche mirate per istruzione e lavoro, perché senza accesso al mondo scolastico prima, e a quello lavorativo poi, l’inclusione resta un miraggio. Bisogna poi abbassare il costo del lavoro, perché oggi la pressione fiscale colpisce duramente anche i lavoratori con disabilità, rendendo ancora più difficile la loro integrazione professionale. Le misure contro la povertà raggiungono davvero le persone con disabilità? No, perché si tratta di interventi tampone, meri trasferimenti economici che risolvono la situazione solo momentaneamente. Invece di erogare “mance e mancette”, dovremmo costruire politiche che permettano alle persone con disabilità di essere produttive e quindi autonome. Tra una persona povera che riceve un sussidio e una persona povera che viene accompagnata a diventare parte attiva della società, non ho dubbi: preferisco la seconda. La legge 85/2023 ha incluso le persone con disabilità tra i destinatari delle nuove misure di contrasto alla povertà. È un passo avanti o un rischio? È sicuramente un passo in avanti, ma non cadrei nell’errore concettuale di categorizzare le persone per evitare di scatenare una guerra tra poveri. C’è invece una criticità da risolvere: con il nuovo Assegno di Inclusione (Adi), come peraltro già accadeva con il Reddito di Cittadinanza, le persone con disabilità risultano penalizzate. Un esempio concreto: una persona con disabilità con gli stessi requisiti per accedere alla misura di una persona senza condizione di disabilità, riceve una somma inferiore in quanto già titolare di pensione di invalidità. Perché questa differenza? Il motivo è che la pensione di invalidità viene considerata una misura assistenziale e non previdenziale. Di conseguenza, viene decurtata dall’importo totale dell’Adi. In pratica, lo Stato tratta questa pensione come un “anticipo” di assistenza economica, riducendo di fatto il supporto garantito dall’Assegno di Inclusione. Questo meccanismo crea un paradosso inaccettabile: chi ha una disabilità, e quindi necessita di maggior supporto, si ritrova con meno risorse rispetto a chi non ha una condizione di disabilità. È inaccettabile, e dimostra che non siamo affatto privilegiati, anzi! Quali sono quindi le vostre richieste? 1. Misure univoche e universali, in linea con la nostra Carta costituzionale. 2. Politiche di intervento certe, con una platea chiara di destinatari. 3. Dati concreti e aggiornati, perché senza numeri reali è impossibile costruire strategie efficaci. 4. Superare gli interventi spot e tornare a pensare in termini di decenni, non di settimane. Abbiamo bisogno di una visione politica lungimirante, capace di guardare avanti e di costruire soluzioni durature. Solo così potremo garantire a tutte le persone, con e senza disabilità, la possibilità di vivere una vita piena e dignitosa.
Grave violazione del diritto all’istruzione per Tommy e tutti gli studenti con disabilità
Nei giorni scorsi, la vicenda di Tommaso, il quindicenne milanese con una severa forma di autismo, rifiutato da ben trentuno istituti scolastici della città, è stata giudicata molto grave. Il ministro dell’istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, l’ha considerato un fatto intollerabile, in quanto viola il diritto all’istruzione che deve essere garantito a ogni alunno, indipendentemente dalla sua condizione. Sotto istanza del presidente della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), Vincenzo Falabella, lo stesso Ministro ha inviato tempestivamente un’ispezione per valutare la reale condizione e gli eventuali interventi da effettuare, al fine di garantire il diritto dell’istruzione a tutti gli studenti. «Sottolineiamo con forza – dichiara Falabella – l’urgenza di garantire il diritto all’istruzione per tutti gli studenti e studentesse, indipendentemente dalle loro condizioni. È inaccettabile che famiglie come quella di questo ragazzo si trovino a dover affrontare tali ostacoli nell’accesso all’educazione: infatti, l’assenza di risposte da parte di decine di istituti scolastici non è solo un fallimento del sistema educativo, ma una violazione dei princìpi fondamentali di equità e inclusione sanciti dalla Costituzione Italiana e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che già da sedici anni è la Legge 18/2009 dello Stato Italiano». Questo increscioso fatto di discriminazione non riflette i dati emersi da una recente ricerca condotta dall’Osservatorio dei Conti Pubblici italiani, secondo i quali il 97% degli studenti con disabilità si considera incluso nella vita scolastica. Pertanto, la scuola italiana, a livello di inclusione, è considerata un modello da seguire, in quanto ha i prerequisiti per far studiare gli studenti e le studentesse con disabilità allo stesso modo di tutti gli altri, grazie all’inserimento nelle classi “normali”, e il supporto di tutor, insegnanti di sostegno e assistenti all’autonomia e alla comunicazione, prerogative che tra gli altri Stati dell’Unione Europea, possono vantare solo il Portogallo, la Spagna e la Grecia. «Certo – commenta il Presidente della FISH – molti passi avanti sono stati fatti negli ultimi decenni, ma c’è ancora tanto da fare per costruire un sistema che effettivamente risponda ai bisogni e alle aspettative dei nostri alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità. Ci sono infatti alcuni problemi non ancora risolti, che definirei “cronici”. Per citare a memoria quelli prioritari, parlerei della mancanza di continuità didattica, della preparazione non sempre adeguata dei docenti di sostegno sulle varie forme di disabilità, senza mai dimenticare la scarsa formazione dei docenti curricolari di scuola secondaria sulle didattiche inclusive, nonché della carenza di assistenti all’autonomia e alla comunicazione». La FISH, indipendentemente dal caso di Tommaso, di recente ha elaborato un testo contenente alcune proposte di modifica da apportare al decreto legislativo n. 66 del 17 aprile 2017, riguardante la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. In particolare, richiede un riconoscimento del ruolo ben definito e una formazione adeguata della figura professionale dell’assistente per l’autonomia e per la comunicazione. In linea con l’articolo 117 della Costituzione, la Federazione ribadisce la necessità di uniformare, a livello nazionale, i criteri per l’accesso a questa professione e di una specializzazione degli assistenti specifica per ogni disabilità degli studenti, visiva, sordità, intellettiva e del neuro sviluppo. «Il riconoscimento della figura professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione – conclude Falabella -, con una definizione chiara del ruolo, delle competenze e della formazione necessaria, è effettivamente un passaggio che riteniamo molto importante. Sottolineiamo anche la necessità di uniformare a livello nazionale i criteri per l’accesso a questa professione, chiedendo anche con forza l’eliminazione della clausola che limita l’erogazione di servizi come questo “nei limiti delle risorse disponibili”. La recente Sentenza 9323/2024 del Consiglio di Stato ha ribadito infatti che i diritti degli studenti con disabilità non possono essere subordinati a vincoli di bilancio e quindi anche l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione va garantita come un diritto incomprimibile».
La continuità didattica dei docenti di sostegno a tempo determinato: questa è la giusta prospettiva
Di fronte alla posizione assunta dalla UIL Scuola – scrive Vincenzo Falabella – sulla bozza di Decreto prodotta dal Ministero, rispetto alle misure per la continuità didattica dei docenti a tempo determinato su posto di sostegno, sono necessarie alcune precisazioni, per fornire una panoramica completa e corretta sulla questione, come sempre si dovrebbe fare, specie trattando problemi tanto complessi e delicati, quale quello dell’inclusione scolastica». «Per il prossimo anno scolastico è possibile che un docente non specializzato sia confermato sul posto occupato quest’anno a discapito di un docente specializzato che potrebbe aspirare a quel posto per diritto di graduatoria. Ciò è lesivo non solo per il docente specializzato, perché non si garantisce il diritto di graduatoria, ma soprattutto per l’alunno disabile, che rischierà per il secondo anno consecutivo di non avere l’insegnante di sostegno specializzato»: lo ha dichiarato Giuseppe D’Aprile, segretario generale della UIL Scuola, a proposito della bozza di Decreto prodotta dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, riguardante le misure per la continuità didattica dei docenti a tempo determinato su posto di sostegno per l’anno scolastico 2025/2026. La bozza di Decreto, ha aggiunto D’Aprile «stabilisce che, entro il 31 maggio 2025, il dirigente scolastico raccolga l’eventuale richiesta di conferma del docente di sostegno da parte della famiglia» e che «dopo aver verificato le condizioni necessarie, comunichi l’esito all’Ufficio Scolastico Provinciale, al docente e alla famiglia entro il 15 giugno. La conferma è possibile anche per i docenti senza specializzazione già nominati». «Un metodo che affida la scelta ai genitori – afferma il rappresentante sindacale -, soprattutto in contesti familiari difficili, rischia di favorire logiche clientelari e influenzare il consenso, compromettendo l’imparzialità del sistema scolastico statale, garante di laicità, trasparenza e pluralismo. Scegliersi i docenti equivale a trasformare l’istruzione costituzionalmente definita quale funzione essenziale dello Stato, in un servizio a domanda che risponderebbe solo ai “desiderata delle famiglie”. Per tali motivi abbiamo chiesto il ritiro del provvedimento e ci riserviamo, in caso contrario, di impugnarlo anche in sede giudiziaria, oltre a valutare la violazione dei diritti dei lavoratori in relazione al sistema di reclutamento e individuazione del personale scolastico con particolare riferimento ai docenti specializzati». A questo punto alcune precisazioni sono certamente necessarie, rispetto a una serie di elementi trascurati dal segretario generale D’Aprile. Innanzitutto lascia a dir poco stupiti che il segretario generale di una rappresentanza sindacale nazionale, quale la UIL Scuola, ignori il fatto che quella norma oggi contestata era già presente ben otto anni fa nel Decreto Legislativo 66 del 2017 (Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107), dove all’articolo 14 (comma 3) si scriveva testualmente che: «al fine di agevolare la continuità educativa e didattica […] e valutati, da parte del dirigente scolastico, l’interesse della bambina o del bambino, dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente e l’eventuale richiesta della famiglia, ai docenti con contratto a tempo determinato per i posti di sostegno didattico possono essere proposti, non prima dell’avvio delle lezioni, ulteriori contratti a tempo determinato nell’anno scolastico successivo, ferma restando la disponibilità dei posti e le operazioni relative al personale a tempo indeterminato». Detto poi che il provvedimento riguarderebbe solo i docenti precari non di ruolo, esso non impedirebbe affatto ai docenti specializzati aspiranti a quel posto di ruolo o precari di impedirne l’applicazione, poiché la normativa già stabilisce che non sia possibile nominare docenti non specializzati quando siano presenti e disponibili docenti specializzati. E ancora, non è corretto parlare di «metodo che affida la scelta ai genitori»: la famiglia, infatti, non sceglie, ma impedisce solo che il docente presente precario per un anno venga licenziato, come per legge. Infine, anziché chiedere il ritiro del provvedimento, come vorrebbe la UIL Scuola, sarebbe sufficiente sostituire, nel testo della norma, la richiesta della famiglia con quella del Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione (GLO), inserendola nel Piano Educativo Individualizzato (PEI), essendo la famiglia, all’interno dello stesso GLO, solo uno dei tanti membri. Di fronte infatti alla richiesta di conferma del docente precario da parte della famiglia, spetterebbe all’intero GLO di approvarla o meno. Questa, a parer nostro, è la panoramica completa e corretta della questione di cui si tratta, come sempre si dovrebbe fare, specie trattando problemi tanto complessi e delicati, quale quello dell’inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità.
La strada tracciata da Superando
In occasione del ventesimo anniversario di Superando, desidero esprimere profonda gratitudine per il percorso intrapreso da questa testata giornalistica, che ha saputo costruire un nuovo modo di comunicare sulla disabilità, mettendo al centro i cittadini e le cittadine prima ancora della loro condizione. In questi venti anni, Superando ha affrontato con coraggio e determinazione temi cruciali, promuovendo una cultura inclusiva e rispettosa delle diversità. In questi venti anni, Superando ha creato un forte legame con le persone con disabilità, ma ha anche raggiunto un pubblico più ampio, contribuendo ad un cambiamento di mentalità fondamentale. Ha reso la disabilità un tema che riguarda tutti, non solo coloro che la vivono direttamente. Oggi, possiamo dire con certezza che la disabilità non è più un argomento solo per pochi, ma una questione sociale che riguarda la costruzione di una società veramente inclusiva. Guardando al futuro, è chiaro che la sfida non è ancora finita. Superando ha dimostrato che una comunicazione attenta e rispettosa può abbattere barriere e pregiudizi, valorizzando le persone nella loro interezza. Sappiamo bene che la strada verso una vera inclusione sociale, educativa, lavorativa e culturale delle persone con disabilità è ancora lunga. Tuttavia, Superando ha tracciato una rotta chiara, ha dato voce a chi non aveva voce, e ha contribuito a rendere la disabilità una parte naturale del nostro mondo. Un ringraziamento particolare va a coloro che hanno reso possibile questo progetto: Franco Bomprezzi, primo direttore responsabile di Superando, la cui visione ha tracciato la strada; Giuseppe Antonio Malafarina, che ha proseguito con passione l’opera di Franco; e Stefania Delendati, attuale direttrice responsabile, che continua a guidare la testata con impegno e dedizione. Auspico che questo importante traguardo sia solo una tappa di un percorso ancora più ricco di successi e soddisfazioni, nella continua promozione dei diritti, delle pari opportunità e della dignità delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
Falabella nominato Cavaliere della Repubblica
«Questo riconoscimento mi dà ulteriore motivazione per continuare a lavorare con determinazione e passione, senza mai scendere a compromessi sui diritti di cittadine e cittadini con disabilità»: a dirlo è Vincenzo Falabella, presidente della FISH e consigliere del CNEL, al quale il presidente della Repubblica Mattarella ha conferito l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. «Questo – aggiunge Falabella – non è che il frutto di un lavoro di squadra che trova il suo valore nella FISH, una rete ampia di Associazioni e Persone che quotidianamente si impegnano per un futuro più equo e giusto». «È un onore profondo ricevere questa onorificenza dal Presidente Mattarella, che ancora una volta ha dimostrato sensibilità verso l’intero mondo che rappresento. Questo riconoscimento mi dà ulteriore motivazione per continuare a lavorare con determinazione e passione, senza mai scendere a compromessi sui diritti di cittadine e cittadini con disabilità»: a dirlo è Vincenzo Falabella, presidente della FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, editrice di «Superando.it», e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), al quale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. «Questo prestigioso riconoscimento – commentano dalla FISH – segna il coronamento di un impegno costante e profondo nella difesa dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. La nostra Federazione esprime orgoglio per l’importante traguardo raggiunto, simbolo di un costante impegno collettivo per l’inclusione e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone con disabilità e delle loro famiglie». «Questo – aggiunge Falabella – non è che il frutto di un lavoro di squadra che trova il suo valore nella FISH, una rete ampia di Associazioni e Persone che quotidianamente si impegnano per un futuro più equo e giusto. Spero ora di vedere risultati concreti nell’attuazione di politiche inclusive che possano rispondere ai bisogni e ai diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Voglio altresì dedicare questo riconoscimento alla mia famiglia, a mia moglie Monica, a mia figlia Allegra e alle tante persone con disabilità del nostro Paese: è il loro sostegno, la loro energia e la loro forza a rendere possibile questo cammino».
Scuola: L’augurio del Cons. Falabella agli studenti e studentesse
Sappiamo tutti – perché ne siamo stati vivi testimoni – che la scuola è una grande conquista democratica, iscritta nella nostra Costituzione. La scuola è levatrice di libertà e la sua visione universale e unitaria fornisce quei necessari anticorpi all’omologazione, alla prepotenza, alla arroganza e alla disuguaglianza. La riapertura della scuola da sempre rappresenta un’opportunità, una forte ragione di impegno comune, un motivo di speranza. E’ il percorso verso il futuro del nostro paese. Per questo l’avvio del nuovo anno scolastico è sempre un momento particolarmente emozionante, ma anche vigile, per la nostra Federazione FISH e per le tante organizzazioni che compongono la nostra rete associativa. La scuola rende liberi, la cultura ci rende uguali, quella uguaglianza che soprattutto gli alunni e le alunne, studenti e studentesse con disabilità che frequentano ogni ordine e grado delle nostre scuole rivendicano da tempo. Ma come sempre accaduto in questi anni l’avvio del nuovo anno scolastico per gli alunni e alunne con disabilità è sempre stato incerto a causa di una serie di problemi “cronici” non ancora del tutto risolti: dalla carenza di continuità didattica alla mancanza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione, al sovraffollamento di alcune classi, senza dimenticare la poca se non scarsa formazione dei docenti curricolari di scuola secondaria sulle didattiche inclusive. Non sempre si riesce ad attribuire al sistema educativo risorse e investimenti adeguati nonostante sia accresciuta sempre più in ogni ambiente, la consapevolezza del valore strategico della formazione: per la realizzazione personale dei ragazzi, per le loro future prospettive di lavoro, per l’acquisizione di una coscienza civile e democratica. La nostra Carta Costituzionale sancisce che la scuola è aperta a tutti ed è di tutti e per tutti. Non tollera esclusioni, marginalizzazioni, differenze, divari. L’inclusione è, quindi, un obiettivo di importanza fondamentale per l’intero sistema scolastico. Molti passi sono stati fatti negli ultimi decenni ma ancora tanto c’è da fare per costruire un sistema che sia effettivamente rispondente ai bisogni e alle aspettative dei nostri alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità. Su questo fronte non possiamo fermarci né, tantomeno, tornare indietro. Anzi dobbiamo avere il coraggio di assumere decisioni importanti come arrivare a breve a istituire una apposita classe di concorso sul sostegno. Lo chiedono i nostri studenti, le nostre famiglie, l’intero movimento associativo di questo paese. Per questi motivi l’avvio dell’anno scolastico è momento emozionante per tutti a maggior ragione per gli alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità. Saremo quindi vigili sentinelle, nel senso che come sempre monitoreremo queste fasi di avvio, evidenziando e denunciando ogni eventuale disguido, ogni ed eventuale violazione dei diritti fondamentali dei nostri alunni. Ci auguriamo che tutto vada per il verso giusto e che l’anno scolastico inizi per tutti e che nessuno venga escluso, contando sulla collaborazione e la solidarietà di tutte le componenti coinvolte. Auguri dunque di un buon inizio di anno scolastico a tutti i Dirigenti Scolastici, ai Docenti e a tutto il personale della scuola. Auguri alle famiglie che con tanta difficoltà accompagnano i propri figli e figlie nel loro percorso di crescita e di formazione. E soprattutto un augurio particolare a Voi, alunni e alunne, studenti e studentesse: frequentate questo anno scolastico sempre con un gioia e determinazione, con la freschezza della vostra età e sorridete sempre ai vostri compagni, ai vostri insegnanti ben sapendo che la scuola è un bellissimo luogo di crescita e di uguaglianza, di positivo interscambio con i compagni e le compagne che hanno una condizione di disabilità. Vincenzo Falabella Consigliere CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro). Presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)
Le medaglie delle Paralimpiadi e le medaglie dei diritti
«Quando saranno archiviate le Paralimpiadi – scrive Vincenzo Falabella -, spetterà a chi nel nostro Paese governa e approva le leggi, alle diverse Istituzioni a livello centrale e locale, far capire che gli atleti e le atlete italiani che in questi giorni collezionano tante medaglie non sono “eroi della disabilità”, ma persone che come tutte le altre con disabilità rivendicano “semplicemente” una diversa cultura. Le Paralimpiadi, infatti, possono servire a contrastare tanti stigmi sulla disabilità, ma per vincere anche le “medaglie dei diritti”, servono quanto prima politiche adeguate» C’è chi sostiene che un evento come le Paralimpiadi che si stanno svolgendo in questi giorni a Parigi rappresentino una sorta di “parata di eroi con disabilità” e che manifestazioni di questo genere non portino benefìci e ricadute positive alle persone con disabilità. Ad avviso di chi scrive, però, si sta sbagliando il focus del bersaglio. Perché, innanzitutto, l’attenzione mediatica delle paralimpiadi ha portato ad alcune conseguenze senza dubbio positive. E mi riferisco, qui, innanzitutto ad una rinnovata attenzione per il linguaggio utilizzato. Sembrerà scontato scriverlo, infatti, ma finalmente si parla di persone, non più soltanto di disabili. Buona la cerimonia di apertura, conoscenza, da parte dei giornalisti, della storia delle paralimpiadi e dei singoli atleti partecipanti, buono l’uso della terminologia, persone con disabilità invece che diverssamente abili. Poco conosciuti invece i principi della Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità. Infatti in molti passaggi delle telecronache si è sentito ancora parlare di “atleti con disabilità grave” o “atleti con limitazione funzionale grave”. Altro dato positivo, quindi, da evidenziare, ancor più importante, è l’allontanamento dalla concezione medicalizzante che vede appunto le persone con disabilità come dei puri e semplici “malati da accudire”. Al riguardo, un efficace sintesi è data dalle parole pronunciate da Luca Pancalli, presidente del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), quando ha ricordato che «ogni paralimpiade ha sempre rappresentato un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità, nel Paese ospitante e nel mondo». E che proprio «tale notevole copertura mediatica ha favorito la nascita di una nuova consapevolezza, stimolando preziose riflessioni sia sul ruolo sociale dello sport che sul concetto di abilità». È in questa prospettiva, dunque, che tra i compiti di organizzazioni come la FISH, vi siano quelli di trasferire le ricadute positive di tali eventi nel concreto, nel quotidiano, da una parte per far crescere sempre di più il numero di persone con disabilità che si avvicinano allo sport, dall’altra parte, su un piano più generale, per il riconoscimento dei diritti nella scuola, nel mondo del lavoro, nella società tutta, nei diversi àmbiti di attività in cui è possibile rintracciare l’impegno della nostra Federazione. Ma veniamo al punto. Già tra qualche settimana, quando saranno archiviate le Paralimpiadi, spetterà a chi nel nostro Paese governa e approva le leggi, alle diverse Istituzioni a livello centrale e locale, far capire che gli atleti e le atlete italiani che vediamo in questi giorni collezionare tante medaglie non sono “eroi della disabilità”, ma persone che come tutte le altre con disabilità rivendicano “semplicemente” una diversa cultura. La disabilità, infatti, non è una malattia, ma un’interazione con il mondo esterno. Ed è proprio a questo che servono gli eventi sportivi come le Paralimpiadi e non solo: a una proficua contaminazione per superare le barriere culturali, all’interazione delle persone con il mondo esterno per combatterne l’emarginazione.Per rendere questo processo di cambiamento compiuto, tuttavia, servono politiche e interventi normativi adeguatamente finanziati e applicati, gli stessi che la FISH da anni considera necessari. Serve che il mondo del lavoro si possa aprire realmente alle persone con disabilità, perché ancora oggi la forbice tra disoccupati e disoccupati con disabilità è molto ampia, e ciò deriva da un pregiudizio: quello cioè di considerare la disabilità come improduttiva.Credo allora che le Paralimpiadi possano servire a contrastare tali stigmi. Ma per far ciò, va ribadito, servono politiche adeguate, che tengano conto ad esempio del fatto che circa 300.000 alunni e alunne con disabilità frequentano le scuole italiane e che, come risulta dai dati del nostro Osservatorio, nella prima fase della pandemia essi non hanno usufruito quasi per nulla della didattica a distanza. E non solo: pensiamo infatti che sin dall’inizio della pandemia si sia verificata nei confronti di quelle ragazze e di quei ragazzi una vera e propria lesione di un diritto costituzionale, quello allo studio.E da ultimo, ma non certo ultimo, sempre a proposito di Paralimpiadi, un giusto rilievo è stato dato al fatto che nella delegazione italiana – la più numerosa di sempre – le atlete superano per numero i colleghi maschi. Questo ci fornisce lo spunto per ricordare quanto sia importante dare sempre più evidenza, anche a livello istituzionale, al fatto che le donne con disabilità devono sin troppo spesso subire una discriminazione multipla, in quanto donne da una parte, in quanto persone con disabilità dall’altra. E questo è un settore d’impegno sul quale la nostra Federazione è già concretamente al lavoro ormai da molto tempo. In definitiva, serve mettere in campo quelle politiche strutturali che rimettano al centro tutti i cittadini, compresi quelli con disabilità. Servono riforme affinché il mercato del lavoro diventi davvero inclusivo e la tutela della salute un diritto pienamente esigibile. Perché al di là delle stesse Paralimpiadi, ora serve un impegno politico concreto per tutte le persone con disabilità e le loro famiglie.
Defiscalizzare il costo lavoro domestico per aiutare le persone con disabilità e le loro famiglie
“La mancata maxideduzione per il lavoro domestico, prevista all’interno della riforma fiscale dell’IRPEF, per le assunzioni a tempo indeterminato, che dovrebbe invece riguardare quanto meno le lavoratrici e i lavoratori domestici nella gestione del lavoro di cura per le persone con disabilità e non autosufficienti, farà certamente aumentare il lavoro irregolare, rischiando anche concretamente di penalizzare le stesse famiglie, con il risultato di poter disporre di minore assistenza”. Così in una nota Vincenzo Falabella, consigliere CNEL e presidente dell’Osservatorio inclusione e accessibilità. “La defiscalizzazione in questo ambito potrebbe aiutare le famiglie alleggerendo i costi per le assunzioni di assistenti familiari e al tempo stesso – ha aggiunto Falabella – andrebbe ad incentivare la professionalità del settore. Si parla, infatti, di milioni di famiglie, quelle che qualcuno ha definito come ‘un esercito silenzioso’, lasciate sempre sole da un welfare strutturale che non appare più in grado di rispondere ai bisogni specifici dei cittadini e delle cittadine più vulnerabili. E tra questi vi sono segnatamente le persone con disabilità e quelle non autosufficienti. È del resto opportuno ricordare come le famiglie che assumono personale domestico si caratterizzino a tutti gli effetti come dei datori di lavoro e pertanto non si vede perché non possano usufruire delle agevolazioni che vedono coinvolti altri settori, in particolare quando tale rapporto di lavori viene avviato per garantire l’assistenza personale alle persone con disabilità e non autosufficienti. Ecco, dunque, perché è necessario un intervento finalizzato a defiscalizzare il costo del lavoro domestico, andando incontro, in tal modo, alle persone con disabilità e alle loro famiglie, che in questi ultimi anni, dalla pandemia in poi, si sono notevolmente impoverite economicamente, se è vero che la disabilità e la non autosufficienza ricadono oggi sulla sola economia familiare e personale. Se invece, come detto, il lavoro domestico continuerà ad essere escluso dai sostegni e dagli sgravi destinati agli altri rapporti di lavoro, si favorirà innanzitutto la crescita del lavoro irregolare, continuando tra l’altro a ignorare le persone con disabilità che non lavorano, da considerare quindi incapienti, non potendo pertanto detrarre fiscalmente i costi”. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Non lasciamo i Lep alle Regioni
Il presidente della grande organizzazione delle associazioni di persone con disabilità interviene sull’autonomia differenziata. Si dice aperto al confronto con il Governo sui livelli minimi dei servizi erogati (i Lep) che, spiega, non debbono essere lasciati agli enti locali: «Su istruzione, sociale e sociale sanitario, se continuiamo a parlare di costi vediamo solo la spesa e non l’aspetto valoriale di un investimento per garantire pari opportunità alle persone con disabilità» entiquattro mesi per tenere alto il livello dei Livelli essenziali di prestazione (i Lep), quei livelli minimi dei servizi erogati in modo uniforme sull’intero territorio nazionale cui lo Stato è tenuto, disponendo le risorse necessarie a garantirli. Senza determinazione di Lep e del loro finanziamento non sarà possibile per una Regione ottenere maggiore autonomia. Dopo l’approvazione del quadro generale della legge sull’autonomia differenziata, sono i Lep la frontiera della trattativa. «Nei prossimi 24 mesi cercheremo di fare massa critica, a breve faremo un’analisi della norma e una valutazione d’impatto sulla vita dei cittadini e delle cittadine con disabilità e delle loro famiglie. Nei luoghi di partecipazione cercheremo inoltre di trovare quelle sinergie per intervenire», spiega Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – Fish. No ad interventi al ribasso «Ormai la legge è stata approvata. Al di là delle posizioni ostraciste, abbiamo 24 mesi in cui il Governo dovrà emanare e determinare i livelli essenziali delle prestazioni, conseguenti alla possibilità del trasferimento delle competenze alle singole autonomie regionali. Incalziamo il Governo e costruiamo bene i livelli essenziali delle prestazioni» sostiene Falabella. Se così non fosse e «se gli interventi fossero al ribasso degli investimenti, si andrebbe ad alimentare quelle disuguaglianze presenti sui territori», incidendo «sulla vita dei nostri cittadini e cittadine con disabilità e sulle loro famiglie». Autonomia solidale più giusta Certo, ribadisce Falabella, «sarebbe stato più giusto lavorare più che sull’autonomia differenziata, sull’autonomia solidale, come avevamo evidenziato sin dall’inizio dell’iter di approvazione della norma. Così lo Stato avrebbe dovuto sostenere le Regioni in difficoltà per consentire una maggiore uguaglianza sostanziale facendo avanzare l’Italia sul piano dei diritti, della coesione e dell’inclusione sociale». Ma i margini per migliorare il provvedimento ci sono Per il presidente di Fish il lavoro ora è concentrarsi «sui margini per migliorare il provvedimento», e in particolare sul livello «dei Lep. Ad di sotto di una certa soglia non devono scendere. Non dobbiamo lasciare alle regioni la possibilità di definire il livello minimo delle prestazioni». In particolare, spiega, «si parla di costi, preferisco il termine investimenti. Su istruzione, sociale e sociale sanitario, se continuiamo a parlare di costi vediamo solo la spesa e non l’aspetto valoriale di un investimento per garantire pari opportunità alle persone con disabilità». Dare risposte in un contesto di welfare che va cambiato Nel dettaglio, continua Falabella, «le risorse per garantire i Lep devono essere risorse importanti. In Italia», aggiunge, «si spendono 145 miliardi in spesa sanitaria e sul sociale, limitatamente alla disabilità, poco più di 2 miliardi. A fronte di bisogni aumentati». L’obiettivo è quindi «essere pronti a dare risposte». In un quadro in cui sì «il sistema di welfare va modificato. Non più solo protezione, ma di riconoscimento dei diritti». Questo in linea teorica, «perché con l’autonomia differenziata, le regioni più ricche, con una capacità di programmazione importante, riusciranno a costruire quei servizi». Quali livelli minimi Le altre regioni, «purtroppo la stragrande maggioranza, in prevalenza le regioni del Sud, non ce la faranno». La scuola, ad esempio, «è uno degli ambiti in cui le regioni potranno intervenire. Mi chiedo, qual è il livello minimo oltre il quale non si può scendere», precisa Falabella. © RIPRODUZIONE RISERVATA