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L’urgenza di politiche inclusive sulla disabilità

In questi ultimi anni la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e l’ampio movimento associativo che essa rappresenta hanno portato all’attenzione dei vertici di tutti i partiti politici, ai Presidenti del Consiglio e ai Ministri degli ultimi tre Governi, la necessità di una maggiore tutela delle persone con disabilità e delle loro famiglie. È accaduto sia a livello di audizioni presso le Commissioni Parlamentari di Camera e Senato, sia in altre sedi specifiche, ove la Federazione ha espresso l’istanza di una necessità sempre più pressante di concreti interventi riformatori, riguardanti in particolare il mondo della scuola e quello del lavoro, nonché nel quadro delle politiche sociali e sanitarie. In altre parole: una riforma dell’intero sistema di welfare. A tal proposito la pandemia ha svolto in un certo senso la funzione di “acceleratore”, consentendo alla Federazione di trovare ascolto, sia a livello nazionale che regionale, per ottenere interventi specifici in favore delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Da sempre, il nostro obiettivo è quello di applicare la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite ratificata dall’Italia nel 20091 e poco recepita a livello nazionale e regionale.

Ora l’occasione per cambiare marcia è data dal PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il documento programmatico presentato dal Governo alla Commissione Europea per illustrare come il nostro Paese intenda investire le risorse fornite dai fondi europei previsti nell’àmbito del programma “Next Generation Eu”. Tra tutti i Paesi comunitari, l’Italia è la principale beneficiaria di tale finanziamento, se è vero che in totale, comprendendo le sovvenzioni, i prestiti e le ulteriori risorse stanziate dal nostro Governo per completare i progetti previsti dal Piano, parliamo di una cifra vicina ai 235 miliardi di euro, secondo i dati forniti dai ricercatori di Open Polis2.

Tra i sei assi di intervento previsti (digitalizzazione, transizione ecologica, mobilità sostenibile, istruzione, inclusione e salute), gli ultimi tre, in particolare, sembrano riguardare più da vicino le persone con disabilità e le loro famiglie. In realtà, tutti le riguardano. E non soltanto per la mole di fondi stanziati a tale scopo, dato che si parla di oltre 200 miliardi di euro, ma, soprattutto, perché da come si deciderà di spendere queste cifre, si darà anche l’idea di quale modello di politiche verranno messe in campo. Per questo, di certo, sarà fondamentale, rispetto al PNRR, un monitoraggio attento sullo stato di avanzamento dei progetti e su coloro che saranno i beneficiari ultimi di questi fondi, ma altrettanto sarà importante verificarne l’impiego da un punto di vista qualitativo, per capire di quale cultura politica rispetto all’inclusione sociale le nostre Istituzioni si vogliano nutrire. Ma andiamo con ordine.

La disabilità nell’ottica europea

All’interno del documento di proposte del PNRR si fa riferimento alla disabilità nella Missione 1, quando si parla della volontà di rimuovere le barriere architettoniche e sensoriali negli archivi, nelle biblioteche e nei musei, al fine di promuovere la cultura dell’accessibilità all’interno del vasto patrimonio culturale italiano; nella Missione 2 e nella Missione 3, laddove si fa presente l’urgenza di migliorare per tutti i cittadini e le cittadine l’accessibilità delle infrastrutture e dei servizi, in particolare di quelle che riguardano il trasporto pubblico locale e le linee ferroviarie; inoltre, anche la Missione 4 dedica un’attenzione specifica alle persone con disabilità e alle loro famiglie, soprattutto nel quadro degli interventi volti a ridurre i divari territoriali nella scuola secondaria di secondo grado.

Restano, infine, le Missioni 5 e 6, a comprendere un massiccio investimento infrastrutturale sulle politiche sociali e sui servizi sanitari, nell’ottica di migliorare l’autonomia delle persone con disabilità. Al più generale ambito sociosanitario, si affianca, poi, una componente di riforma volta alla non autosufficienza, con l’obiettivo di offrire risposte ai problemi degli anziani. Una riforma che, almeno nelle intenzioni, dovrà affrontare in maniera coordinata i diversi bisogni che scaturiscono dalle conseguenze dell’invecchiamento, viste, però, nell’ottica della prevenzione della istituzionalizzazione e della de-istituzionalizzazione. Per questi ultimi due interventi, rivolti al miglioramento delle infrastrutture sociali, auspichiamo che la mano del legislatore possa andare realmente nella direzione dell’autonomia, dell’autodeterminazione e del riconoscimento della vita indipendente per tutte le persone, verso politiche realmente inclusive e più vicine al cittadino. Ed è quello che ci auguriamo per i le persone anziane e maggiormente bisognose di cure, ma ovviamente anche per i più giovani, rispetto ai luoghi e agli spazi dove si svolge la loro vita, la scuola su tutti.

Ripartire dalla scuola

Negli ultimi dieci anni la scuola italiana è cresciuta in termini di normative sull’inclusione. Di strada ne è stata fatta molta dalla legge n. 170 del 2010 che da allora garantisce e tutela il diritto allo studio per tutti gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e con bisogni educativi speciali (BES), assegnando alle scuole e alle università il compito di individuare le modalità didattiche più adeguate affinché gli studenti e le studentesse con disabilità possano raggiungere i successi formativi esattamente come i loro compagni. E, tuttavia, è convinzione di chi scrive che le diverse forme di sostegno nelle scuole, sia in termini di organici che di risorse, non dovrebbero dipendere dalle singole diagnosi, spesso “incollate” ai bambini e alle bambine come etichette, frutto di un retaggio medicalizzante della disabilità. Esse, invece, dovrebbero far parte della progettualità di ogni scuola di ordine e grado. In quest’ottica, la FISH, al di là della quantità di risorse che verranno stanziate, si aspetta qualità, da parte delle proposte politiche che verranno messe in campo, per andare realmente nella direzione di un’adeguata formazione specializzata di tutti i docenti di ogni ordine e grado, nonché di tutti coloro che, a vario titolo, interagiscono con gli alunni e gli studenti con disabilità.

Dagli investimenti che saranno previsti per il mondo dell’istruzione, ci aspettiamo, dunque, anche maggiori risorse per il sostegno domiciliare; fondi da impiegare per gli operatori educativi per le disabilità, come lo sono quelle dei disturbi del neuro-sviluppo, per la formazione delle famiglie, per i dispositivi e gli ausili previsti per gli alunni sordi, soltanto per fare alcuni esempi. Più in generale, come ha commentato qualche giorno fa sulla rivista «L’Espresso», a proposito dell’uso corretto dei fondi del PNRR, Fabrizio Barca, già Ministro per la Coesione Territoriale durante il Governo Monti, «c’è un modo per ridurre drasticamente il cattivo uso delle risorse e permettere agli interventi di essere disegnati su misura delle aspirazioni delle persone nei luoghi, quello di condividere con i cittadini tutte le informazioni su ogni fase del processo attuativo, non solo sugli esiti e a cose fatte».

Per un mondo del lavoro inclusivo

Pertanto, un maggiore coinvolgimento delle persone con disabilità e delle organizzazioni che le rappresentano è quello che ci aspettiamo anche sulle due aree di intervento che comprendono la Missione 5, cioè l’attivazione al lavoro e il piano per la non autosufficienza. Sul primo tema, da diverso tempo la FISH pone l’accento in tutti i luoghi istituzionali sull’urgenza di avviare politiche attive del lavoro che vadano nella direzione di una maggiore inclusione delle persone con disabilità, poiché la legislazione legata al sistema delle quote è insufficiente a garantire realmente il diritto al lavoro.

È necessario, in questo senso, dare una concreta attuazione alla legislazione attuale e alle priorità d’intervento già individuate nel Programma biennale elaborato dall’Osservatorio nazionale per l’attuazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD). Tra le nostre attese, quindi, vi sono: la tutela dei lavoratori autonomi, il maggiore sviluppo della contrattazione collettiva, la costruzione di nuovi modelli di lavoro agile pienamente inclusivi e di una definizione ed un repertorio delle buone pratiche di accomodamento ragionevole, insieme alla ridefinizione dei livelli essenziali di funzionamento della rete dei centri per l’impiego. Su quest’ultimo punto, in particolare, occorrerà insistere sulla necessità di attivare percorsi di formazione strutturati, che possano rispondere alle esigenze delle persone, oltre che delle imprese. Inoltre, è nostra convinzione che servirà sperimentare nuovi modelli gestionali, come lo sono per esempio gli osservatori aziendali sulla disabilità. A maggior ragione dopo quello che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo di pandemia, c’è bisogno di riposizionare la vita delle persone con disabilità al centro degli interventi di sostegno. E per farlo, oltre che misure specifiche nei diversi settori sociali, servirebbe, più in generale, un nuovo modello di welfare, non più soltanto di protezione, ma che diventi realmente di inclusione. La pandemia, infatti, di contro, ha fatto emergere che un welfare di protezione, prevalente in Italia, non ha protetto le persone con disabilità; il welfare di inclusione e di prossimità territoriale che chiediamo presuppone il riconoscimento della condizione di disabilità, come definita dalla CRPD, insieme a progetti personalizzati decisi insieme alla persona interessata.

Oltre l’istituzionalizzazione. Un nuovo patto sociale 

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza vi sono diversi passaggi rispondenti alle nostre aspettative. Si pensi alla riforma dei meccanismi di accertamento, ma anche al riferimento all’uso appropriato del linguaggio riguardante la disabilità, in linea con la strada tracciata dalla Convenzione ONU. Sono volontà sostenute per anni da molti Governi italiani, ma mai pienamente attuate. E, invece, nel PNRR vi sono ulteriori elementi che rispondono alle nostre attese: i sostegni alle famiglie per la progettazione della vita indipendente e maggiori risorse per le infrastrutture sociali. Come già rilevato, la Missione 5 del Piano, titolata “Coesione ed inclusione”, è forse la più importante ed è caratterizzata da notevoli elementi di novità per le persone con disabilità, le loro famiglie e gli anziani non autosufficienti. In essa si trovano tracce di interventi volti a favorire la socializzazione, sostenere percorsi di vita indipendente, anche con la ristrutturazione di alloggi che sfruttino le nuove tecnologie per superare le barriere fisiche, sensoriali e cognitive, che sono di impedimento allo svolgimento autonomo degli atti più comuni della vita quotidiana.

Il Piano prevede ampiamente, dunque, interventi per la promozione dei diritti delle persone rese dalla società più fragili e vulnerabili, nella loro dimensione individuale, familiare e sociale; al fine di prevenire la loro esclusione sociale, interviene sui principali fattori di rischio individuale e collettivo, per assicurare il recupero della massima autonomia delle persone. In particolare, vengono sostenute diverse categorie di interventi da realizzare da parte dei Comuni, anche in associazione, tramite gli ambiti sociali territoriali. In questo senso, l’ambito di finanziamento è quello che riguarda il sostegno alle capacità genitoriali e il supporto alle famiglie e ai bambini che si trovano in condizioni di disabilità.

Le nuove infrastrutture sociali delineate nel Piano, inoltre, vanno nella direzione della de-istituzionalizzazione delle persone anziane non autosufficienti e del rafforzamento dei servizi sociali a domicilio, per garantire la dimissione anticipata e prevenire il ricovero in ospedale. Infatti, proprio la linea di attività più corposa del progetto (oltre 300 milioni di euro) è finalizzata a finanziare la riconversione delle RSA e delle case di riposo per gli anziani in gruppi di appartamenti autonomi, dotati delle attrezzature necessarie e dei servizi attualmente presenti nel contesto istituzionalizzato. Nella previsione saranno garantite l’autonomia e indipendenza delle persone, andando oltre l’istituzionalizzazione, per un nuovo patto sociale.

Infine, vi è l’ulteriore previsione della realizzazione di una “Legge delega sulla disabilità”. Per questo, il Governo italiano ha creato con la legge di bilancio 2020 un Fondo disabilità e non autosufficienza e ha allocato complessivamente 800 milioni per il triennio 2021-2023. La Legge verrà finanziata proprio con queste risorse, proponendosi di realizzare una riforma della normativa sulle disabilità nell’ottica della de-istituzionalizzazione e della promozione dell’autonomia delle persone.

La salute, un diritto universale

L’ultima Missione del PNRR è quella specifica della salute, per la quale è previsto uno stanziamento di 15,6 miliardi, di cui circa 4 per l’assistenza domiciliare e la telemedicina e 2 miliardi per le Case della Comunità. Anche qui, quello che ci aspettiamo, al di là della quantità di risorse che saranno stanziate, è che finalmente siano aggiornate ed adattate le linee guida sui livelli essenziali di assistenza, soprattutto nella parte che riguarda l’integrazione socio-sanitaria; inoltre, che vengano introdotti nuovi modelli e strumenti di garanzia delle prestazioni e dei percorsi, tra cui vi deve essere la definizione dei LEPS, i livelli essenziali delle prestazioni sociali, attraverso la costituzione di un fondo che possa essere alimentato dalla fiscalità generale.

Il PNRR, alla fine della fiera, è l’ultima strada che ci rimane per puntare al rafforzamento della coesione sociale. Per giungere, cioè, a una riforma complessiva del Welfare State che possa garantire finalmente ad ogni cittadino con disabilità (oltre che ai loro familiari) la migliore qualità di vita possibile. Occorrerà eliminare le barriere alla partecipazione sociale e promuovere contesti inclusivi: è questa la strada che la politica dovrebbe percorrere.

In tutti i casi, è importante sottolineare che una funzione importante per monitorare che le riforme proposte siano realmente inclusive, sarà svolta dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, che sarà coinvolto dalle amministrazioni competenti per l’attività di monitoraggio sull’attuazione del PNRR, coadiuvato da un apposito sistema informatico sviluppato dal Ministero dell’economia e delle finanze. In particolare, tale sistema di monitoraggio dovrà rilevare tutti i dati relativi all’attuazione del PNRR, sia a livello finanziario (spese sostenute per l’attuazione delle misure e le riforme), sia materiale (attraverso la rilevazione degli appositi indicatori), sia procedurale. In sostanza, il monitoraggio dovrebbe riguardare il rispetto delle norme di accessibilità in tutte le azioni delle 6 missioni. Infatti, laddove il mainstreaming della disabilità venisse garantito, tutelerebbe maggiormente i cittadini beneficiari degli interventi, al fine di rimuovere le diseguaglianze e discriminazioni che spesso colpiscono le persone con disabilità. Per far sì che, ad esempio, alcuni diritti come quello alla salute diventino realmente universali, e che non accada più quello che si è verificato all’inizio della pandemia, un periodo nel quale proprio le persone con disabilità sono state quelle maggiormente private dei loro diritti fondamentali; subendo, in questo senso, «un carico sproporzionato di problemi rispetto agli altri cittadini», come ha affermato la commissaria europea all’eguaglianza Helena Dalli3.

  • Vincenzo Falabella: Presidente nazionale Fish-Ets Consigliere Cnel e Presidente Osservatorio Inclusione e Accessibilità Cnel

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